La classifica dei migliori horror del 2019 secondo Cinepaura


Il meglio del 2019 secondo Cinepaura

Siamo giunti alla fine dell’anno e la consuetudine vuole che sia il momento di tirare le somme. Il 2019 è stato un anno prolifico per gli horror, ne sono usciti molti e di molti generi. Abbiamo visto un po’ di tutto: horror d’autore (Midsommar, La casa di Jack), possessioni demoniache (Crucifixion, The Exorcism of Hannah Grace), mostri e creature (Scary Stories to Tell in the Dark, It capitolo 2), bambini talentuosi volti al male (The Prodigy, Brightburn) remake (La bambola assassina, Pet Sematary), zombi (I morti non muoiono, Zombieland), creature pericolose (Crawl, 47 metri Uncaged) e perché no, anche la ribalta del cinema italiano (Il Signor Diavolo, The Nest, The Last Heroes).

Sebbene gli horror usciti nell’anno siano davvero molti, siamo abbastanza convinti dei film che vogliamo inserire nella top 5, quindi procediamo con la classifica.


La casa di Jack di Lars Von Trier (5° posto)

Quando esce un nuovo film di Lars Von Trier, la sensazione che si prova prima della visione è quel misto di sgradevolezza e paura di rimanere scioccati a vita. Ci si domanda: che cosa diavolo mostrerà ora sullo schermo, quel matto di un regista danese? Il suo nuovo lavoro non è esente da tutto ciò, anzi, a fine visione si rimane scioccati, come nella migliore tradizione vontrieriana. The House of Jack Built, interpretato da un Matt Dillon da Oscar, è un susseguirsi di scene, una più violenta e scioccante dell’altra, intramezzate da episodi della vita passata di Jack. Jack racconta e si racconta al misterioso Verge (sempre fuori campo che si rivelerà essere una bella sorpresa nel finale) e ciò che ne esce è un ritratto sconvolgente in cui l’arte e la follia omicida sono in realtà la stessa cosa, oltre che una metafora della vita e lavoro di Von Trier stesso, (con tanto di autocitazioni con spezzoni dei suoi film). Un lavoro che si insinua sotto pelle, tanto malato quanto affascinante, qualcosa che non siamo abituati a vedere e che difficilmente dimenticheremo.


The Nest (Il nido) di Roberto De Feo (4° posto)

L’Italia è quel meraviglioso paese pieno di problemi e privo di film dell’orrore. Questa definizione andava bene fino a qualche tempo fa. Una nuova definizione, più appropriata è: l’Italia è un meraviglioso paese pieno di problemi in cui, però, qualche film dell’orrore comincia a vedersi. D’Antona e Misischia, per esempio, sono due validi sostenitori del nuovo movimento horror e oggi siamo qui per aggiungere un altro nome che, siamo sicuri, porterà grandi cose al nostro cinema di genere. Roberto De Feo. Il suo primo lungometraggio, The Nest, è qualcosa che, a nostro avviso, raffigura l’orrore in una delle sue forme migliori, quella viscerale, profonda, misteriosa e dal sapore apocalittico. Oltre a costruire un’opera gotica che incolla allo schermo, De Feo sa come gestire spazi e interpreti in maniera efficace. Villa dei Laghi è straordinaria e protagonista della vicenda tanto quando gli attori (tutti decisamente a fuoco, tra l’altro). The Nest è anche un modo nuovo di approcciare a qualcosa di già conosciuto e, anche su questo, De Feo vince scrivendo una sceneggiatura efficace, che guarda il mondo da una prospettiva diversa ma non meno spaventosa. E ci fermiamo qui, perché rischieremmo di cadere nello spoiler e The Nest non se lo merita. Diciamo soltanto due parole riguardo il finale, criticato da molti, è invece per noi l’ennesimo punto di forza di una pellicola che meriterebbe visibilità in tutto il mondo.


Noi di Jordan Peele (3° posto)

Dopo lo straordinario successo di Get Out, addirittura vincitore dell’Oscar come miglior sceneggiatore, Jordan Peele, al suo secondo lavoro non si smentisce. Anzi, a dirla tutta, riesce nel miracolo costruendo uno dei film più interessanti del 2019. Il film racconta una storia originale di critica sociale con un’ironia mai pesante o fuori luogo in cui, come nel precedente Get Out, gioca sulla manipolazione dell’essere umano da parte dei potenti. Ma Noi è molto altro e ne esce vincente sotto tutti i punti di vista. Vince nel ritmo che mantiene alta la tensione fino all’ultima scena, nel messaggio che passa, nel colpo di scena finale e nella spettacolare (e imprevedibile) spiegazione delle copie ma soprattutto vince nella recitazione. Lupita Nyong’o si conferma una delle migliori attrici in circolazione, qui nel doppio ruolo Adelaide/Red fa venire i brividi allo spettatore e si merita senza ombra di dubbio un altro Oscar. Insomma, se Jordan Peele continua in questa direzione potremo presto vederlo seduto molto presto nell’olimpo dei grandi del cinema dell’orrore.


Climax di Gaspar Noé (2° posto)

Gaspar Noé, un regista il cui scopo principale è quello di scioccare il pubblico. E lasciatemi dire, come si insinua sotto pelle Noé, in pochi lo sanno fare. Ma Noé non è solo questo, è anche un regista con una tecnica ben precisa, uno stile unico e geniale e in Climax ci mette tutta la sua sapienza nel costruire un prodotto che non potrà non far parlare di sé. Climax è un film psichedelico, lisergico dalla prima all’ultima scena. Nella prima parte, la lunghissima e meravigliosa scena di ballo sotto la martellante musica techno è quanto di più ipnotico si sia visto negli ultimi anni. Una scena propedeutica a ciò che accadrà nella seconda parte ovvero un incredibile piano sequenza di quasi un’ora, dove i ballerini si accorgono che qualcosa non va e lentamente sprofondano all’inferno. E qui, signore e signori, inizia un delirio senza precedenti. Attori che improvvisano in maniera incredibile, su tutti una straordinaria Sofia Boutella e una regia che andrebbe analizzata e studiata nelle scuole di cinema.


Midsommar di Ari Aster (1° posto)

Di norma, il secondo lavoro di un artista che ha dimostrato di saperci fare è una grossa responsabilità. Non solo deve essere in grado di eguagliare la qualità del primo senza sfigurare ma deve far capire al mondo che non si è trattata soltanto di fortuna. Oltre a questo, deve anche essere così abile da migliorarsi. Ari Aster, con il suo secondo film dopo il tanto discusso Hereditary, non solo conferma di essere stato in grado di realizzare un film migliore del primo, ma dirige uno degli horror più suggestivi e ben fatti degli ultimi anni. Insolito, affascinante e con una carica di angoscia da mettere i brividi, Midsommar è girato nella luce del sole di mezzanotte della Svezia, in una comunità ricoperta di fiori e colori, tutti elementi che Aster usa con sapienza e li trasforma in strumenti per creare orrore. Un orrore diverso da ciò che ci si aspetta, un orrore interiore, fatto di dolore che logora le persone dentro, fatto di credenze, di alienazioni e di suggestioni, fatto di tragedie che distruggono l’anima delle persone, le quali cercano aiuto senza, tuttavia, trovarlo. In questo scenario si muove la protagonista Florence Pugh, straordinaria nel ruolo della disperata Dani, nella tormentata ricerca della redenzione.
Ari Aster è un virtuoso nella regia e lo si vede in ogni inquadratura. Ci sono almeno due scene che meritano nell’olimpo dei momenti di Cinema con la C maiuscola: i primi dieci minuti di film e la scena dell’amplesso. Ma Ari Aster non è solo uno bravo a girare le scene, è anche uno che sa scrivere un film come si deve, sa come dilatare le scene senza ridurne la tensione, sa come dirigere gli attori, insomma, Ari Aster sa. Un film che ha fatto parlare di se alla sua uscita e che è destinato, nel bene o nel male, a far parlare di se anche negli anni a venire. Perché che piaccia o no (e a molti non piacerà) Midsommar è l’incarnazione definitiva dell’horror del nuovo millennio.


E voi, siete d’accordo con la nostra classifica? Fateci sapere la vostra!

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