Calvaire - La recensione

 


La passione di Du Welz

Marc è un cantante in tour natalizio. Dopo aver lasciato l’ospizio per cui ha cantato si ritrova con il furgone in panne nella desolata campagna. Qui viene aiutato da un uomo alla ricerca del suo cane, che lo conduce a una locanda nella quale può passare la notte. Il locandiere Bartel è gentile e premuroso nei suoi confronti e fa di tutto per impedirgli di andare via. Bartel è un uomo solo, con il cuore spezzato dopo che la moglie Gloria lo ha lasciato.


CinePaura pensa che...

Primo lungometraggio diretto dall’autore belga Fabrice Du Welz e forse anche quello che gode di maggior notorietà. Calvaire, del 2004, è giunto alla ribalta un attimo prima che il filone torture porn (nato in quel periodo con Hostel e Saw) esplodesse nel mondo. Anche se a dirla tutta, il film di Du Welz non è propriamente classificabile sotto tale etichetta. Pochissimo sangue ma violenza psicologica ad alti livelli, basti pensare al titolo e a cosa si riferisce in ambito biblico.

Il calvario in questione è quello di Marc, fascinoso cantante che ha la sfortuna di rimanere con il furgone in panne nei pressi di un villaggio dimenticato da Dio, dove gli uomini vivono in una realtà sudicia e distorta in cui gli animali hanno sostituito le donne, sia in termini affettivi sia in quelli sessuali. Un viaggio per il protagonista verso la progressiva e completa perdita della dignità, un lento calvario appunto descritto come l’agghiacciante discesa di una persona qualunque in un inferno di campagna dove i pochi abitanti vivono isolati dal mondo nella più completa deviazione mentale.

Tutti sono alla ricerca della figura femminile, che essa sia un cane, una donna, non importa. Il mondo degli abitanti del villaggio ruota intorno alla privazione, alla perdita, alla scomparsa o chissà che cosa e nel film è mastodontica la presenza dell’assenza (perdonate il gioco di parole). La regia è precisa e decisa, i personaggi sono delineati con cura, sia il suddetto Mark ma soprattutto l’anziano e folle Bartel, che con la sua gentilezza posticcia mette in mostra tutta il suo vuoto interiore e la sua desolazione mentale, creando un personaggio tanto fastidioso quanto riuscito. Un film potente, difficile da digerire e che lascia un senso di nausea che persiste ore dopo la visione.



Forse non sapevate che...                               

È stato presentato al Festival di Cannes del 2004

La scena surreale del ballo nel bar è un omaggio di Du Welz a uno dei suoi film preferiti Una sera... un treno (1968) di André Delvaux



Informazioni

 

Regia di Michael e Paul Clarkson

 

2022

 

Laurent Lucas (Marc Stevens)
Jackie Berroyer (Bartel)
Brigitte Lahaie (Mademoiselle Vicky)

 

A cura di Andrea Costantini



 

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