Il
leggendario Brandon Lee in un cult assoluto
In una città devastata dalla violenza, il giovane chitarrista Eric Draven e la sua fidanzata Shelley vengono aggrediti nel loro appartamento da una banda di balordi capitanati dal criminale T-Bird. Lei viene stuprata e uccisa e lui gettato fuori dalla finestra, morendo sul colpo. Un anno dopo, in quella che viene definita come la Notte del Diavolo, dopo che un misterioso corvo si è posato sulla lapide, Eric risorge dalla tomba con un unico scopo: vendicarsi di coloro che hanno ammazzato Shelley.
CinePaura pensa che...
Un
tempo, la gente era convinta che quando qualcuno moriva, un corvo portava la
sua anima nella terra dei morti. A volte, però, accadevano cose talmente
orribili, tristi e dolorose che l‘anima non poteva riposare. Così, a volte ma
solo a volte, il corvo riportava indietro l‘anima perché rimettesse le cose a
posto.
Partiamo
dicendo che saremo ben poco imparziali nella stesura delle nostre consuete
poche parole perché quando si parla di un film con un tale impatto visivo,
sentimentale e nostalgico come Il Corvo
è impossibile parlare escludendo il cuore dal discorso. Quando si parla di anni
’90, la mente automaticamente associa il periodo a una serie di film che
definire cult sarebbe un eufemismo. Uno di questi è senza ombra di dubbio Il Corvo, diretto nel 1994
dall’allora sconosciuto Alex Proyas e interpretato da Brandon Lee che (come
tutti sanno) è scomparso a causa di un incidente mortale proprio durante le
riprese del film.
Al di là
dei tragici fatti accaduti e di tutte le difficoltà affrontate durante la
realizzazione (il progetto ha rischiato di spegnersi in diverse occasioni), il
film di Proyas è un pilastro portante della cinematografia degli anni ’90, sia
per messa in scena che per impatto culturale. In una ambientazione notturna
senza speranza e senza futuro, lo spettro Eric Draven si muove nella tristezza
dei vicoli piovosi di una città devastata dal crimine con un unico pensiero in
testa: vendicarsi della morte della sua amata. Amore e vendetta, due sentimenti
tanto contrastanti ma al tempo stesso così tristemente vicini, sono mostrati
sullo schermo tramite parole che sono poesie, immagini superbe e musica da
brividi, in una maniera mai vista prima (e neanche dopo).
La
caratterizzazione del personaggio di Eric Draven (interpretato come ben
sappiamo da un Brandon Lee leggendario) è straordinaria: poche parole e ognuna
di essa è entrata nel mito, sguardo devastato dal dolore, un look post
apocalittico, chitarra e corvo sulla spalla. Vengono i brividi al solo
pensiero. Un film tanto triste quando appassionante e cattivo, crudele nella
narrazione e diretto allo spettatore come un pugno in faccia. Non c’è alcuna
speranza in città, anche se finalmente qualcuno sta per rimettere le cose a
posto. Colonna sonora straordinaria con una struggente Burn scritta e
interpretata dai the Cure appositamente per il film. Capolavoro.
Forse non sapevate che...
Brandon Lee è morto all’età di 28 anni. Il film è dedicato a lui e alla sua fidanzata Eliza Hutton.
La scena della morte di Brandon non è visibile nel film. E’ avvenuta per mano di Michael Massee (che nel film interpreta Funboy) durante la scena dello stupro e del duplice omicidio di Eric e Shelley. Masse smise di recitare per un anno, traumatizzato dall’incidente. È morto nel 2016 e non ha mai visto Il Corvo.
Alcune scene sono state girate senza Brandon e parte del cast (che abbandonò le riprese in seguito all’incidente) con il sussidio della CG e di stuntman. Alcuni esempi sono Eric Draven che suona la chitarra sul tetto o mentre mette l’esplosivo nella macchina di T-Bird.
La colonna sonora contiene brani dei Rage Against the Machine, Nine Inch Nails, Stone Temple Pilots e The Cure. Questi ultimi hanno composto la canzone “Burn” appositamente per il film.
È basato sull’omonimo fumetto di James O'Barr
La macchina di T-Bird è una Ford Thunderbird del 1973
Informazioni
Regia di Alex Proyas
1994
Rochelle Davis (Sarah Mohr)
Ernie Hudson (Darryl Albrecht)
Michael Wincott (Top Dollar)
Bai Ling (Myca)
Tony Todd (Grange)
A cura
di Andrea Costantini
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